- Dottoressa Pavani
#coronavirus e infodemia:
#coronavirus e l’infodemia: ovvero come rispondere all’epidemia di notizie.
Non sono una virologa e non mi permetto di parlare di aspetti che devono essere lasciati ai colleghi medici competenti in questo ambito. Ma da psicologa parlo per ciò che mi compete e cioè di emozioni, di benessere interiore e so bene che effetti ha l’angoscia sul nostro equilibrio, sull’equilibrio della nostra psiche.
La marea di notizie che ci assalgono fomenta l’allarmismo, che, facendo da cassa di risonanza della paura di ciò che si fa fatica a comprendere, ci fa prendere decisioni sconnesse, non utili. Il nostro campo d’azione è inevitabilmente determinato dalle azioni improntate alla paura. Cercare in noi una soluzione per il nostro benessere vuol dire costituire il nostro miglior ambiente interno. Se rispondiamo con equilibrio, se siamo regolati, riflettiamo, rispondiamo senza entrare in uno stato di paranoia e di terrore (che può diventare fuga e aggressività incontrollata) e possiamo massimizzare le probabilità di mantenere il nostro stato di benessere psicofisico. Vuol dire che la persona sa tutelarsi con equilibrio nel portare avanti la sua vita; usando ciò che la paura ci mostra di noi e dell’ambiente (si badi bene, paura e non il terrore o il panico) possiamo capire da cosa dobbiamo proteggerci o da cosa no e ci fa essere più indirizzati nello scegliere in che modo possiamo rispondere al meglio agli eventi. Avere la flessibilità di adattarci, significa che non insistiamo a “fare tutto esattamente come lo conosciamo”, ma cresciamo, impariamo, ci “adattiamo” ad un ambiente che cambia intorno a noi. Nostro malgrado.
Vista l’invasione di news, per contribuire alla nostra protezione interna, la nostra migliore opzione è di cercare una sicurezza interiore preservando un “luogo sicuro” dentro noi. Un luogo che, sebbene sia stato modificato dagli eventi esterni, ci offre uno spazio di presenza, di calma e di tranquillità. L’impulsività, sull’onda delle notizie allarmanti, degli audio di “esperti” che amici armati delle migliori intenzioni ci inviano sui social, ci fa inevitabilmente scattare nelle due direzioni che il nostro cervello conosce: attacco o fuga. Infatti, il nostro sistema nervoso (centrale e periferico, diviso in simpatico e parasimpatico, a sua volta diviso -per la Teoria Polivagale- in sistema dorsale e ventrale) nel suo complesso insieme, serve anche per farci rispondere all’ambiente, ai suoi stimoli, ai pericoli e alle minacce a volte in modo non consapevole, ma automatico, veloce, arcaico.
La percezione della minaccia ci fa andare a leggere le ultime news e ci fa entrare in una sorta di dipendenza dalle informazioni e ciò non fa altro che tenerci nella paura, dove la sopravvivenza a tutti i costi è l’unico imperativo che viviamo. La nostra realtà è vista come il nostro cervello arcaico sa riconoscerla: come una giungla piena di nemici e l’altro è un possibile usurpatore di risorse fondamentali per la nostra sopravvivenza. Non sono sicura che siamo già a questo scenario apocalittico, ma è quello che il nostro sistema di sopravvivenza vedrà se è così a lungo sollecitato, e a lungo andare la psicosi e la paranoia possono indurre all’aggressività verso ciò che percepiamo come una minaccia. La paura che diventa terrore ed angoscia ci rende fragili.
Non si deve allora rimbalzare alla negazione, inneggiando agli arcobaleni, agli unicorni e ai pony rosa, ma riprendersi la capacità di valutare quello che accade senza farci assalire dai messaggi senza un filtro. Purtroppo, non dipende solo dalla nostra capacità, perché, come abbiamo visto, se lasciamo che la nostra parte arcaica prenda il sopravvento, la minaccia paventata diventa una questione di sopravvivenza, facendoci perdere la maggiore nostra conquista: la qualità dell’esistenza. Ci schiaccia entro una sola logica del bisogno primario, facendoci arretrare.
Ognuno può ritrovare la responsabilità del proprio benessere interiore e trovare un filtro, uno schermo da tale invasione di news allarmanti che ci vogliono schiacciati ad ascoltarle. Noi non possiamo modificare in toto il nostro ambiente esterno ma possiamo scegliere di coltivare il nostro ambiente interno, quello che prima chiamavo “il luogo sicuro”, costituito da relazioni importanti, fatto di aspetti importanti per la nostra vita e perché no, di bellezza.
Non dipende da noi la permanenza nel nostro ambiente di un problema, ma dipende da noi cosa ne facciamo e come lo facciamo. Ad esempio, come usiamo il tempo che ci è stato imposto da questa situazione è sotto la nostra scelta. Tutto il tempo che passiamo ad informarci, dobbiamo riconoscere che potremmo dedicarlo ad altro. A prenderci cura di noi, a leggere quella pila di libri che abbiamo dovuto accantonare perché troppo impegnati a lavorare e a produrre. A riascoltare la musica che ci piaceva, a ritrovare cosa abbiamo lasciato in secondo piano senza volerlo veramente scegliere di accantonarlo. Usare il tempo che si è liberato non per aspettare il prossimo bollettino, non per essere terrorizzati dalla nostra fragilità, ma per comprenderla e accoglierla. Non negarla. Esserne consapevoli. SCEGLIERE.
“Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa (il fiocco a collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei cargo e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama "Desiderio".”
Da: "Eloge de la fuite" di Henri Laborit
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